Ai nostri giorni spesso si parla di abitudini alimentari, sostenendo la propria posizione con argomenti scientifici o, più di frequente, attraverso luoghi comuni. Il libro «Il santo vegetariano» del teologo vicentino Daniele De Rosa, edito dall’EMP, propone il confronto con la figura di san Francesco da Paola, frate vissuto alla fine del Quattrocento che ha scelto uno stile alimentare di strettissimo magro, oggi diremmo “vegano”.
Alcune testimonianze sul santo riportano che egli «non mangiò mai cibi di grasso fino alla morte, specificando anche i cibi di cui l’eremita si proibì: la carne e i suoi derivati, il latte e le uova. Quando stava male interrompeva il suo rigido regime alimentare e si permetteva allora un po’ di pesce. Beveva molta acqua e pochissimo vino». Inoltre, nella regola scritta per la sua congregazione – gli Eremiti di San Francesco, detti poi Minimi – stabilisce che «a tutti e a ciascuno è assolutamente e incontestabilmente proibito di cibarsi, fuori e dentro il convento, di carni, di grasso, di uova, di burro, di formaggio e di qualsiasi specie di latticini e di tutti i loro composti e derivati». Si tratta di una dieta – una volta si diceva di strettissimo magro – che però non veniva imposta in modo assoluto: Francesco predispone che coloro i quali, durante il digiuno, fossero visitati da un naturale languore, «siano benignamente alleviati non solo nei predetti digiuni ma anche in tutte le veglie e in ogni altro onere dell’Ordine, e siano rifocillati con cibi quaresimali più abbondantemente che i sani».
L’autore pone in evidenza la ricerca di uno stile alimentare da parte di Francesco, il quale prevede delle figure che se ne prendano cura: il dispensiere, il giardiniere, e l’ebdomadario. Quest’ultimo «deve aver premura che per l’ora del pranzo e della cena le tavole siano pronte con il pane, il vino e la frutta». Infine, un ruolo di responsabilità spetta al cuoco, il quale è tenuto a servire bene i frati, specialmente gli ammalati, e «deve avere cura che, all’arrivo dei frati nel refettorio, “sia la vivanda che aspetti con impazienza i frati, piuttosto che i frati attendano con impazienza la vivanda”». Queste attenzioni del santo paolano hanno favorito lo sviluppo di una “tradizione culinaria” i cui prodotti sono diffusi anche oggi: alcuni esempi sono la birra Paulaner e il repertorio di ricette composte con soli ingredienti quaresimali di padre Gaspare Dellepiane.
De Rosa opera un’interessante ricerca sulle motivazioni dello stile adottato dall’eremita paolano, ricapitolando anzitutto la sua vicenda, inserita nel contesto del Rinascimento, periodo in cui si assiste a una mondanizzazione della Chiesa e una perdita del suo impegno penitenziale. Il motivo più profondo delle pratiche alimentari di san Francesco è spirituale: la penitenza «purifica la mente, sublima i sensi, sottomette la carne allo spirito, rende contrito ed umiliato il cuore, disperde i focolai della concupiscenza, estingue gli ardori della libidine e accende la fiaccola della castità». Come sottolinea l’autore, il legame tra il comportamento sessuale e quello alimentare, già notato dai Padri del deserto, è comprovato dalla scienza dell’alimentazione.
L’alimentazione vegetariana restituisce l’uomo alla sua relazione originaria con il creato: in modo analogo a Francesco d’Assisi – ma forse ancor più eclatante – il santo paolano ha un rapporto unico con esseri viventi e inanimati. Non si contano i miracoli in merito, che attestano la sua familiarità e la profonda riconciliazione con il creato: la risurrezione dei pesci, la guarigione e la protezione di vari animali, l’attraversamento a piedi delle acque dello stretto di Messina, il maneggiare il fuoco senza subire ustioni. Tutto questo proietta uno sguardo positivo sulla realtà materiale: anche il corpo è chiamato «fratel corpo», restituendo una concezione buona della corporeità come «elemento che ci unisce e ci radica nella creazione materiale».
La riflessione dell’autore si articola ulteriormente esplicitando i legami tra l’alimentazione vegetariana, la Scrittura e la riflessione teologica; la trattazione tocca alcuni temi rilevanti e posizioni apparentemente contraddittorie: se prima della cacciata dal paradiso terreste, conseguenza della disobbedienza dell’uomo, l’alimentazione era vegetariana, perché Gesù, l’uomo nuovo totalmente riconciliato con la creazione, permette di cibarsi di tutti i tipi di vivande? L’autore propone una soluzione del paradosso.
In conclusione, in san Francesco da Paola, l’alimentazione di strettissimo magro è segno del far morire l’uomo vecchio, per partecipare alla vita dell’Uomo Nuovo, che è Cristo stesso, riconciliato non solo con l’umanità, ma anche con l’intera creazione, promuovendo un vero rispetto per gli animali e tutti gli esseri viventi. In questo contesto, la creazione è riconosciuta «non come materiale da utilizzo per gli scopi dell’uomo – visione meccanicistica tipica dell’uomo occidentale – ma come un corpo vivente che soffre e in cui Cristo stesso soffre nella violenza inutile a cui spesso la sottoponiamo». La Stampa
«Il santo vegetariano. San Francesco da Paola e gli animali», di Daniele De Rosa, Edizioni Messaggero Padova, pagine 150, 11 euro